Umorismo, fede, libertà. Sono questi i “segni distintivi” della figura e dell’opera - anche - di Giovannino Guareschi. Con quell’anche, a indicare che in lui, contrariamente a quanto accaduto per tantissimi altri scrittori, la letteratura era veramente come la vita.
Dell’umorismo è intrisa tutta la vasta produzione guareschiana: dai
primi scritti sui numeri unici della goliardia parmense, e quindi sul
“Bertoldo”, alle ultime pagine giornalistiche apparse sul “Borghese”,
sin quasi alla morte dell’autore, attraverso dunque l’esperienza del
Lager nazista e della galera italiana, della rinata democrazia e della
lotta politica per mantenere e sviluppare la riconquistata libertà. L’umorismo può essere considerato il filo conduttore della sua opera.
Non disgiunto, peraltro, dagli altri due elementi: la fede e la
libertà, caratterizzanti l’essere uomo e l’essere scrittore di
Guareschi.
Il quale ebbe un’esistenza certamente breve, e tuttavia, molto intensa.
Giovannino (e non Giovanni, come molti, sbagliando, scrivono) nacque a Fontanelle di Roccabianca il 1 maggio 1908 e morì a Cervia il 22 luglio 1968. La formazione culturale, letteraria e religiosa, avvengono nella frequentazione di alcuni sacerdoti e di autori della sua Parma fra i quali Zavattini, e – ovviamente – nella lettura dei Classici antichi, nonché di Alessandro Manzoni. La sua vita e la sua letteratura sono impregnate degli umori della terra emiliana, di partecipi affetti familiari, di profondamente sentiti - e praticati, per così dire - valori civili e religiosi, che si colgono nelle pagine dei romanzi umoristico-sentimentali dei tempi del “Bertoldo” (La scoperta di Milano, Il destino si chiama Clotilde, Il marito in collegio), come in quelle dolenti e meditabonde scritte nei lunghi mesi dell’interamento (Diario clandestino, La favola di Natale, Ritorno alla base), per arrivare alle considerazioni acute e sofferte del Dopoguerra italiano che fu (pure) un “dopoguerra civile”; quindi ai godibili racconti di vita familiare (Corrierino, Zibaldino, ecc.) per concludersi con la saga della Bassa, come può essere considerata la serie dei racconti (più di trecento) all’insegna del “Mondo piccolo”: Don Camillo, Don Camillo e il suo gregge, Il compagno don Camillo, Don Camillo e don Chichì, e via elencando: trenta libri, dei quali diciotto postumi realizzati dai figli Alberto e Carlotta, mettendo insieme, appunto, tante pagine sparse dello scrittore.
Il quale ebbe un’esistenza certamente breve, e tuttavia, molto intensa.
Giovannino (e non Giovanni, come molti, sbagliando, scrivono) nacque a Fontanelle di Roccabianca il 1 maggio 1908 e morì a Cervia il 22 luglio 1968. La formazione culturale, letteraria e religiosa, avvengono nella frequentazione di alcuni sacerdoti e di autori della sua Parma fra i quali Zavattini, e – ovviamente – nella lettura dei Classici antichi, nonché di Alessandro Manzoni. La sua vita e la sua letteratura sono impregnate degli umori della terra emiliana, di partecipi affetti familiari, di profondamente sentiti - e praticati, per così dire - valori civili e religiosi, che si colgono nelle pagine dei romanzi umoristico-sentimentali dei tempi del “Bertoldo” (La scoperta di Milano, Il destino si chiama Clotilde, Il marito in collegio), come in quelle dolenti e meditabonde scritte nei lunghi mesi dell’interamento (Diario clandestino, La favola di Natale, Ritorno alla base), per arrivare alle considerazioni acute e sofferte del Dopoguerra italiano che fu (pure) un “dopoguerra civile”; quindi ai godibili racconti di vita familiare (Corrierino, Zibaldino, ecc.) per concludersi con la saga della Bassa, come può essere considerata la serie dei racconti (più di trecento) all’insegna del “Mondo piccolo”: Don Camillo, Don Camillo e il suo gregge, Il compagno don Camillo, Don Camillo e don Chichì, e via elencando: trenta libri, dei quali diciotto postumi realizzati dai figli Alberto e Carlotta, mettendo insieme, appunto, tante pagine sparse dello scrittore.
Il tutto offre uno spaccato di vita
civile, politica, letteraria, spirituale e del costume dell’Italia dagli
anni Trenta al Sessantotto. Uno spaccato di storia, non soltanto
nazionale, del quale il Nostro fu ad un tempo testimone e protagonista,
vivendo - e scontando - sulla sua pelle quel senso di libertà, di
dignità e di fede che gli erano propri, accadesse quel che poteva
accadere. In questo, distaccandosi Guareschi da quella (così italiana)
arcinota figura di intellettuale prono ai potenti, compiacente ai loro
desiderata. Perché ogni azione, e ogni scritto del Nostro passavano
attraverso il filtro della coscienza, unico vero padrone cui obbedire. E
quella di Guareschi era retta coscienza cristiana, che bandisce ogni
tipo di pratica, materiale e materialistica, convenienza per rendere
testimonianza unicamente alla Verità. In questo senso, si colgano in
modo particolare le pagine di osservazione e di riflessione scritte nei
Lager, nonché quelle di Italia provvisoria, e della saga di Don Camillo, opera di respiro universale, letta e apprezzata ai quattro angoli della Terra
(in ciò favorita pure dalle trasposizioni cinematografiche con
interpreti d’eccezione Fernandel e Gino Cervi), sia per i contenuti: il
mondo contadino coi suoi umori, valori, ritmi, personaggi, quotidianità
di umanità spicciola, ma con un cuore di carne e con un’anima che sa
guardare oltre gli orizzonti terreni, sia per la scrittura essenziale
nella sua semplicità e impatto diretto nei confronti del lettore, sia
ancora per quel contrappunto di umorismo e sentimento che, lungi
dall’essere tra loro in contraddizione, si completano e si armonizzano.
Di Guareschi vanno sottolineate infine altre due caratteristiche. Le sue invenzioni come vignettista politico:
esempio, i trinariciuti, l’obbedienza cieca, pronta assoluta, il
contrordine compagni - termini ancora oggi usati nel linguaggio non
soltanto giornalistico - e le antiveggenti critiche sul piano della distruzione dell’ambiente
(si legga la favola ecologica “La calda estate del Pestifero”) e di una
modernità tecnica e tecnologica tendente all’azzeramento dei valori
familiari, dell’importanza della singola persona, per privilegiare la
massa e un consumismo massificante e opprimente: i nuovi “idola fori” ai
quali l’uomo si sta inchinando, quando la strada indicata da Guareschi
era e resta un’altra: quella del primato della persona,
che vale e va considerata per quei valori dei quali può (o non può)
essere portatrice; quella dell’avversione allo statalismo, al dirigismo e
alla statolatria, per cui appare del tutto estranea al pensiero e al
sentimento del Nostro, quella espressione in forza della quale si può
“perdere l’anima per il bene dello Stato”!Tutto questo emerge da quella
vita breve, ma da quella ampia e grande opera che abbiamo davanti agli
occhi.